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Dopo aver parlato del principio di legalità, oggi proponiamo un approfondimento sul principio di colpevolezza e sulle sue applicazioni. Il principio di colpevolezza delimita ciò che è illecito sotto il profilo penale e amministrativo e determina la pena da applicare. Il codice penale italiano non usa il termine colpevolezza, ma il nostro ordinamento giuridico lo considera uno dei principi fondamentali della responsabilità penale e amministrativa.

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Il principio di colpevolezza ingloba dunque l’insieme degli elementi soggettivi sui quali si fonda la responsabilità penale. L'art. 27 della Costituzione sancisce il principio di personalità nella responsabilità penale e amministrativa affermando che

  • La responsabilità penale è personale
  • L'imputato non è colpevole sino alla condanna
  • Le pene non possono contrastare con i principi di umanità

Il concetto di colpevolezza, è dunque prodotto dagli elementi che riportiamo di seguito:

  • Imputabilità
  • dolo o colpa gravanti sulla fedina penale
  • Conoscibilità del precetto penale
  • Assenza di cause di esclusione della colpevolezza

L’imputabilità e il principio di colpevolezza: sanzione o multa?

Si tratta una condizione personale del colpevole e rappresenta il presupposto dell’applicazione della pena. Il soggetto viene considerato imputabile dal principio di colpevolezza solo se, nel momento in cui compie un fatto, sia: capace di intendere, vale a dire capire il significato della realtà dei fatti e delle sue azioni; capace di volere, come la volontà di agire sulla base dei presupposti. L’imputabilità viene esclusa nel caso in cui il soggetto è, o sia stato riconosciuto, incapace di intendere e volere. Nello specifico, per cause fisiologiche (la minore età), cause patologiche (infermità mentale) e cause di natura tossica (uso di alcool o stupefacenti). I minori di 14 anni, secondo la giustizia, non sono imputabili, mentre i soggetti tra i 14 e 18 anni possono essere dichiarati imputabili o meno secondo la valutazione del giudice tramite l'intervento di un avvocato  tramite la sentenza, sulle capacità del minore.
L’infermità mentale, secondo la giustizia italiana, comprende la malattia psicologica e fisica, anche di di breve durata purché influenzi le capacità del soggetto nel momento in cui compie il fatto.

In pratica, abbiamo visto come affinché ci sia un reato devono concorrere due fattori: la condotta di un soggetto e l'evento, i quali devono essere legati dal cosiddetto nesso di causilitá, cioé l'evento sia stato determinato e quindi causato dalla condotta. Infatti, la semplice condotta non basta di per sé. È importante e necessario infatti che quest'ultima sia accompagnata dalla colpevolezza, in modo da poter collegare (in termini psicologici) un fatto al suo autore. Un fatto pertanto deve essere ricollegato al suo autore, a livello di coscienza e di volontá.

Se un soggetto infatti non voleva che accadesse l'evento e, al tempo stesso, nessun rimprovero gli si possa imputare per averlo fatto capitare, a questo punto dovrebbe decadere ogni ragione per punirlo.  Un esempio potrebbe essere quello di un soggetto costretto a commettere un'azione oppure il soggetto a compiere questa sia stato un bimbo, che non presenta la capacitá di rendersi conto appunto delle azioni che compie. Pertanto, in sintesi, la colpevolezza tende a indicare che il soggetto ha compiuto l'atto come libera scelta, pur avendo l'opportunitá di una condotta differente.

Responsabilità per dolo o colpa: l'arresto porta in prigione e rimane sulla fedina penale

L’articolo 42 del Codice Penale afferma che nessuno può essere punito per un fatto commesso senza coscienza e volontà, sotto valutazione di un giudice tramite l'intervento di un avvocato tramite sentenza. Il dolo e la colpa rappresentano, insieme alla preteritenzione, l’elemento soggettivo del reato. La differenza tra i due concetti è che si ha il “dolo” quando il soggetto, che commette il reato, agisce con volontà ed è consapevole delle conseguenze delle sue azioni; la colpa, si ha quando il soggetto agisce con volontà ma non è cosciente delle conseguenze dell’azione, ossia del non rispetto di leggi vigenti a livello di legislatura e governo, regolamenti o ordini di giustizia.
La preterintenzione è, invece, il dolo misto a colpa nel senso che il soggetto agisce con volontà, è cosciente delle conseguenze delle sue azioni per quella sua condotta ma, in realtà produce un effetto diverso.

Abbiamo visto in precedenza che, col principio di colpevolezza, si ritiene colpevole appunto un soggetto che abbia agito con colpa o dolo, commettendo un fatto specifico, definito reato. In particolare, ad esempio, si ha "colpa" quando il soggetto A ha avuto una condotta da cui sia derivata la morte di B e quest'ultima era prevista e prevedibile. Si rientra nel "dolo", invece, quando A ha previsto e voluto la morte di B, come conseguenza di un'azione oppure di un'omissione. Tale differenza risulta importante, in quanto potrebbe incidere sulla pena inflitta al colpevole.

Il concetto di colpa e di principio di colpevolezza secondo la legge

Il concetto di principio di colpevolezza rappresenta poi il problema focale di chi studia i fattori costitutivi della norma penale, che si fonda sul concetto di integrazione tra la norma e la sanzione o multa. Nei casi di fatti penalmente sanzionati la sanzione o multa implica la punizione del colpevole.

La corte costituzionale ha affermato che esiste principio di colpevolezza per le condizioni obiettive di punibilità intrinseche, che aggravano l'offesa implicita nelle commissione del reato. Al contrario le condizioni dette estrinseche non immettono nulla alla lesione del bene protetto dalla norma incriminante.

Concezione psicologica e normativa della colpa: quali sono i diritti del colpevole

Il concetto di colpa viene spiegato dal principio di colpevolezza attraverso due concezioni di diritto: quella psicologica e quella normativa, attualmente dominante, sarà poi un giudice tramite l'intervento di un avvocato, tramite sentenza.
Per concezione psicologica si intende il rapporto psicologico tra il soggetto agente e l’azione prodotta, la quale non permette, però, di capire il grado di colpevolezza.
La concezione normativa vede la colpevolezza come il risultato di un conflitto tra la volontà del soggetto e le norme della società in cui vive, diventando così rimproverabile per l’atteggiamento antidoveroso della volontà.

Come si puó notare, il principio di colpevolezza risulta essere complesso e, al tempo stesso, molto sottile nell'ordinamento giuridico italiano. E spesso gli avvocati difensori, che cercano di limitare la responsabilitá e quindi proprio la colpevolezza di un soggetto relativamente ad un fatto, tendono a condurre il dibattimento giudiziario sull'esistenza di tale principio nel compimento di un'azione. Alcune volte ció accade con esito positivo, mentre altre volte con esito invece negativo e pertanto un soggetto subisce una sentenza di condanna. 

Il principio di colpevolezza nel Diritto penale

Il principio di colpevolezza riveste un ruolo centrale nel sistema di giustizia penale di molti Paesi. Esso rappresenta un fondamento essenziale per garantire un processo equo e giusto, proteggendo i diritti fondamentali degli imputati e promuovendo la giustizia nel sistema legale.

Presunzione di innocenza

Uno dei principi fondamentali del diritto penale è la presunzione di innocenza. Secondo questo principio, ogni individuo è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Il principio di colpevolezza sottolinea che la colpa deve essere dimostrata in modo chiaro e convincente, evitando condanne arbitrarie o basate su semplici sospetti.

Limiti del principio di colpevolezza

Pur essendo un principio cardine nel diritto penale, il principio di colpevolezza può presentare alcune sfide e limiti. Uno dei principali è la difficoltà di provare la colpa oltre ogni ragionevole dubbio. Gli standard di prova elevati richiesti nel sistema di giustizia penale possono talvolta rendere difficile ottenere una condanna anche quando l'imputato ha commesso effettivamente il reato.

Tipi di colpevolezza nel diritto penale

Nel diritto penale, esistono diversi tipi di colpevolezza che vengono presi in considerazione durante il processo di attribuzione della responsabilità penale. Questi tipi di colpevolezza includono il dolo, la colpa e la responsabilità oggettiva. Comprendere le distinzioni tra questi tipi di colpevolezza è fondamentale per valutare l'intenzione e la responsabilità di un imputato in relazione al reato commesso. Ognuno di essi ha caratteristiche specifiche che influenzano il giudizio finale e l'eventuale condanna.

Dolo

Il dolo è un tipo di colpevolezza intenzionale. Esso si verifica quando una persona commette un reato con l'intenzione diretta di compierlo. Ad esempio, se qualcuno ruba un oggetto sapendo che è proibito e agisce con l'intento di sottrarlo, si può parlare di dolo.

Colpa

La colpa è un'altra forma di colpevolezza nel diritto penale. Essa si verifica quando una persona commette un reato senza un'intenzione diretta di compierlo, ma a causa di negligenza o imprudenza. Ad esempio, se un conducente causa un incidente stradale a causa di una guida negligente, può essere ritenuto colpevole per lesioni colpose.

Responsabilità oggettiva

In alcuni casi, il diritto penale prevede la responsabilità oggettiva, che implica che una persona possa essere considerata colpevole senza la necessità di dimostrare dolo o colpa. Questa forma di colpevolezza si applica solitamente in situazioni in cui il reato è associato a rischi intrinseci o attività pericolose, come nel caso della detenzione di sostanze stupefacenti.

Principio di Offensività: ecco come come agisce nel diritto? 

Il Principio di Offensività è un concetto molto interessante nell'ambito della concezione liberal-democratica del reato. Questo principio afferma che solo le azioni che causano un effettivo pregiudizio al bene giuridico protetto possono essere punite.

Un reato, essendo un comportamento illecito soggetto a sanzione penale, implica sempre un valore negativo, rappresentando la ragione sostanziale per cui l'ordinamento lo considera indesiderabile e socialmente dannoso. Ad esempio, nell'omicidio il contenuto negativo è rappresentato dalla morte di una persona, ma il valore che viene tutelato è la "vita umana", che è preservata dalla previsione legislativa del reato di omicidio.

Il Principio di Offensività e di garanzia sostanziale forniscono indicazioni sui contenuti negativi dei reati e, ancor prima, sui valori, beni o interessi che possono essere considerati oggetto di tutela da parte del legislatore attraverso l'uso della sanzione penale. Ciò comporta una delimitazione dei contenuti del diritto penale, al fine di ridurre al minimo l'ambito sostanziale di rilevanza penale.

Il Principio di Offensività si basa sulla necessità di evitare la lesione di un bene giuridico e condanna l'azione del soggetto. Non può esserci reato senza un'offesa a un bene giuridico, cioè a qualcosa che l'ordinamento ritiene meritevole di protezione.

I bene relativi 

Il Principio di Offensività protegge i seguenti tipi di beni:

  1. Beni costituzionalmente rilevanti.
  2. Beni costituzionalmente non incompatibili.

Ci sono limiti interpretativi che devono essere considerati:

  1. Divieto di criminalizzazione derivante da principi costituzionali generali.
  2. Divieto di limitare i diritti costituzionali di libertà.
  3. Divieto di obblighi costituzionali di criminalizzazione.

Il bene tutelato deve rispettare il principio di necessità della tutela penale, evitando l'applicazione di sanzioni penali amministrative. Ciò implica una limitazione dei reati, consentendo la punizione solo per atti che danneggiano l'integrità di un bene giuridico.

Il principio di offensività è complementare al principio di materialità. Non esiste una norma specifica che faccia riferimento al concetto di "offesa necessaria" come criterio per la criminalizzazione. L'esistenza del principio si desume dall'articolo 13 della Costituzione. Secondo gli sostenitori del principio di offensività, il codice penale lo prevede nella sua parte generale. Nell'applicazione pratica, si fa distinzione tra:

  1. Identificazione dell'oggetto giuridico del reato.
  2. Scopo della norma, implicito nella disposizione penale.

Perché ci sia un'accusa, dovrebbe essere necessario un "quid pluris" rispetto all'offesa.

Alcuni teorici obiettano che in questo modo si introduca un elemento estraneo alla fattispecie di reato, frustrando il principio di legalità. Tuttavia, questa obiezione non è valida, poiché il principio di offensività serve a un concetto di giustizia sostanziale all'interno di un ordinamento che accoglie il principio di legalità formale.

Di conseguenza, il principio di offensività ha una funzione aggiuntiva di garanzia, prevedendo che non possa esserci una pena senza "iniuria" (offesa). In altre parole, la mancanza di offesa al bene giuridico non costituisce un reato, anche se l'aspetto materiale della condotta è presente. Quindi, per considerare un atto come reato, l'offesa come elemento della tipicità deve pervadere la materialità del comportamento, rappresentando un'azione almeno non inidonea (secondo quanto stabilito dall'articolo 49 del codice penale) a mettere in pericolo il bene tutelato.

Come principio di rilevanza sostanziale, il principio di offensività viene sostenuto da alcuni come un imperativo per i futuri legislatori, affinché si tenda a costruire un diritto penale basato esclusivamente sull'offesa ai beni giuridici rilevanti.

In conclusione, il Principio di Offensività svolge una funzione di garanzia, garantendo che non possa esserci una pena senza un'offesa.

Novità sul principio di offensività: Costituzione, codice penale e intervento della corte di cassazione

decreto legge 138

Come abbiamo osservato, il principio di offensività è complesso nella sua spiegazione e altamente controverso. È stato spesso richiesto un intervento esplicativo e definitivo della giurisprudenza di legittimità al fine di chiarire in modo esauriente questa tematica specifica del diritto. Tuttavia, nel corso degli anni, ci sono stati solo alcuni interventi da parte della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale in merito.

Il principio di offensività, che è legato al principio di legalità, si basa sull'idea che solo le azioni che possono offendere o mettere in pericolo un bene giuridico (come ad esempio la vita di una persona) tutelato dalla legge italiana siano rilevanti dal punto di vista penale. Inoltre, nel nostro ordinamento non è concepibile un reato senza un'offesa.

Tuttavia, questo principio di offensività non ha trovato un riconoscimento specifico nella Costituzione italiana, poiché è difficile sintetizzare la vasta gamma di beni che potrebbero essere tutelati. Nonostante ciò, anche se non è menzionato esplicitamente nella Carta Costituzionale, vi sono riferimenti indiretti in alcuni articoli, come l'articolo 25, l'articolo 27 e, come accennato in precedenza, l'articolo 13. Inoltre, si possono trovare riferimenti anche nel Codice Penale, in particolare nell'articolo 49.

Tuttavia, anche l'interpretazione dell'articolo sopracitato non è concordata da tutti i giuristi. Infatti, alcuni ritengono più opportuno trovare un riferimento indiretto al principio di offensività nell'articolo 56 dello stesso codice penale. Nel corso degli anni, questo principio controverso è stato associato o applicato dai giudici a determinati reati, come quelli legati agli stupefacenti e all'ambiente. In particolare, nel primo caso, per valutare la rilevanza penale nell'acquisto e nella detenzione di droghe.

Autore: Avvocato Giacomo Locopo

Immagine di Giacomo Locopo

Nato a Catania il 25 febbraio 1970, l'avvocato ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'illustre Università degli Studi La Sapienza di Roma. Attualmente, è iscritto all'Albo dell'Ordine degli Avvocati nella città di Palmi, dove esercita la professione legale con competenza e dedizione.