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Con la legge 30 del 2003 il contratto di lavoro a progetto ha rimpiazzato il contratto di collaborazione coordinata, al cui assetto si perviene con l'abrogazione di disposizioni codicistiche cardinali.

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Contratto a progetto e licenziamento

Nel corso degli anni sono state introdotte tutele in favore del collaboratore autonomo per diminuire il rischio licenziamento per contratto a progetto. In relazione al lavoro dipendente è stata immaginata la sanzione della conversione a tempo indeterminato se il giudice accerta la mancanza del progetto. I lavoratori versano contributi ad una cassa mutua di categoria e pagano assicurazioni antinfortunistiche. E’ prevista la maternità ma la brevità del contratto spesso pone la lavoratrice nella necessità di nascondere la gravidanza.

Una clausola di preavviso è inserita nei contratti a progetto e autorizza il datore a licenziare con uno o più mesi di preavviso il lavoratore, senza specificarne il motivo. La mancanza di un contratto nazionale quadro determina dunque condizioni di precariato. I contratti di lavoro devono essere ricondotti ad uno o più progetti specifici che devono essere gestiti dal lavoratore in funzione del risultato (deve essere indicata la durata).

Il salario dei precari

Il salario è legato al raggiungimento degli e la riconducibilità del modello legale al rapporto lavorativo autonomo obbliga il datore a determinare la periodicità della corresponsione del salario. E’ bene sottolineare che la modalità di erogazione del progetto non è necessariamente mensile. Può essere rinnovato infinite volte. In caso di fallimento del datore di lavoro, i lavoratori con questo tipo di contratti non hanno accesso al fondo nazionale di garanzia.

Lo Statuto dei lavoratori sancisce con l’articolo 18 che nessun licenziamento può avvenire a meno che non sia per giusta causa o giusto motivo. Il problema che si è posto il governo in questo delicato momento è come far crescere le imprese aumentando allo stesso tempo l’occupazione? Il dibattito resta nella sottile di linea di confine che da sempre demarca il divario tra lavoratore e datore di lavoro.

Il dibattito sull'articolo 18

L’obiettivo da parte del governo è chiaro: innanzitutto sfoltire le diverse modalità di contratto, rendere più fluide le forme di assunzione e cercare di dare in questo modo agevolazioni alle imprese per poter crescere. Questo dovrebbe aiutare la liberalizzazione del lavoro creando a parer loro un nuovo modo di intendere l’occupazione. Ma i sindacati non ci stanno, dopo aver incontrato nei primi giorni di gennaio il ministro del Lavoro Elsa Fornero, tornano ad attaccare il governo additandolo come fautore di manovre che vanno contro gli interessi delle parti più deboli del paese.

Il governo sta cercando di tenere a bada l’ostruzionismo attraverso incontri con le diverse parti sociali e i sindacati, sostenendo che al momento è fondamentale per la ripresa dell’economia dare più libertà al mercato del lavoro. Anche se alcune delle proposte riguardanti proprio l’articolo 18 sembrano suscitare grande sconcerto anche da parte di tutti i leader dei diversi partiti.

La proposta del governo

La modifica dell'articolo 18 era presente all’interno della bozza del pacchetto sulle liberalizzazioni, affidato al sottosegretario Antonio Catricalà; è prevista una maggiore flessibilità rispetto ai licenziamenti, senza avere riscontro rispetto ai dati attuali della disoccupazione. Come sostengono in molti, ma come emerge anche dall’ultimo rapporto Excelsior Unioncamere, il problema delle imprese italiane oggi non è modificarlo, ma cercare di ottenere più commesse per riattivare la domanda di mercato. Non è l’assenza di dipendenti il motivo dell’attuale fermo occupazionale sono altre le logiche che in questo momento determinano l’arresto dell’espansione industriale in Italia.

In attesa del decreto sull'articolo 18

Rimase dubbia per allora la reazione che suscitò sapere che davvero il governo stava portando avanti un decreto che prevedeva tali modifiche. La liberalizzazione del lavoro non era ciò che si aspettavano i sindacati, non era ciò di cui avevano parlato con il ministro e non era un punto sul quale gli stessi partiti si aspettavano fosse sferrato un ulteriore colpo verso un paese che, come diceva il presidente Napolitano, stava faticosamente risalendo, ma che si domandava quanti e quali ancora dovrebbero essere i sacrifici da sostenere.

Il lavoro a intermittenza

Nel 2005 è stato inserito nel mondo del lavoro il contratto di lavoro intermittente. Un impiegato si mette a disposizione di un datore di lavoro che può utilizzare la prestazione lavorativa quando ne ha più bisogno. Il lavoro intermittente può essere a tempo determinato o indeterminato e deve essere stipulato in forma scritta.

Chi può redigere questo tipo di contratto di lavoro? I disoccupati con meno di 25 anni e i lavoratori con più di 45 anni che sono stati licenziati. Se il lavoratore non lavora e garantisce la sua utilizzabilità ad essere interpellato ha diritto ad un’indennità di disponibilità che è stabilita dai contratti collettivi.

Se invece lavora, ha diritto al trattamento economico previsto dai contratti collettivi al pari dei lavoratori che hanno gli stessi incarichi.

Può essere rescisso qualora si presenti la necessità di utilizzare un lavoratore per prestazioni a carattere discontinuo. Tutti i datori di lavoro possono ricorrere a questa formula. Non si può ricorrere al lavoro a chiamata:

  • qualora il datore di lavoro non abbia effettuato la valutazione dei rischi
  • al fine di sostituire lavoratori in sciopero
  • nel caso in cui il datore abbia proceduto a licenziamenti collettivi
  • quando sia in corso una una riduzione dell'orario di lavoro

e deve precisare le esigenze che giustificano il ricorso al lavoro a chiamata, la sua durata, l'indicazione dei tempi e delle modalità con cui il datore può richiedere la prestazione. Al lavoratore intermittente deve dunque essere assicurato lo stesso trattamento normativo, economico e previdenziale riconosciuto ai colleghi di pari livello.

Mobilità e Licenziamento nel diritto dei lavoratori: per saperne di più 

Il concetto di mobilità fa riferimento al licenziamento collettivo, un'azione che il datore di lavoro può intraprendere in conformità alle disposizioni della legge 223/91. Le aziende possono invocare la mobilità per vari motivi, tra cui la riduzione del personale, la ristrutturazione delle attività o la bancarotta, a condizione che abbiano più di 15 dipendenti.

Nonostante ciò, la mobilità non è solo legata alle procedure di licenziamento collettivo. Si utilizza anche per descrivere la situazione di un lavoratore che, a causa di un licenziamento collettivo o, in certi casi, a causa di un licenziamento per ragioni economiche, si ritrova disoccupato.

In questi contesti, l'obiettivo è creare meccanismi per facilitare la reintegrazione del lavoratore nel mercato del lavoro. Questo si realizza iscrivendo il lavoratore a liste specifiche e fornendo opportunità di formazione.

In sintesi, la mobilità si riferisce alla registrazione dei lavoratori, precedentemente licenziati collettivamente, in un elenco per facilitare il loro ritorno al lavoro, offrendo un sostegno finanziario fino a quando non si verifichi tale reinserimento. Ora esaminiamo quali misure possono essere adottate in caso di mobilità e licenziamento dei lavoratori.

Cosa accade in questa condizione

Per contrastare le difficoltà economiche derivanti dalla disoccupazione, la legge prevede l'erogazione di un sostegno finanziario, che tuttavia dal 1° gennaio 2013 sarà gradualmente sostituito dall'ASPI.

Non sono suscettibili di mobilità e licenziamento i lavoratori con contratto a termine, gli apprendisti, i lavoratori stagionali e coloro che hanno raggiunto l'età pensionabile. È importante ricordare che le aziende, per intraprendere tale azione, devono comunicare con le rappresentanze sindacali aziendali e i sindacati. I lavoratori in mobilità vengono registrati in un elenco specifico, che facilita il loro reinserimento nel mercato del lavoro. L'indennità corrisponde all'80% del salario lordo, simile al trattamento della cassa integrazione. La condizione del lavoratore cambia nel momento in cui viene assunto a tempo determinato o parziale. È possibile che un giudice consideri non valido un licenziamento effettuato senza una notifica scritta.

Scopriamo le liste di mobilità e licenziamento

I lavoratori che si ritrovano disoccupati in seguito a un licenziamento collettivo vengono registrati, sotto l'egida della direzione provinciale del lavoro, in specifici elenchi noti come liste. Queste liste sono preparate sulla base di schede contenenti dettagli sulla situazione dei lavoratori in mobilità, al fine di identificare:

  • le loro competenze professionali,
  • la propensione per differenti compiti,
  • la disponibilità a trasferirsi in una diversa sede lavorativa.

Una volta approvata la lista, la direzione provinciale del lavoro intraprende tutte le possibili azioni per promuovere la reintegrazione dei disoccupati nel mercato del lavoro. In questa situazione, possono essere proposti corsi per il miglioramento delle competenze professionali.

Inoltre, la direzione provinciale del lavoro incoraggia l'impiego dei lavoratori in mobilità e coloro che sono stati licenziati nelle attività o nei servizi di pubblica utilità.

Criteri per la scelta dei lavoratori e cause di licenziamento

L’azienda che si trova nella condizione di dover scegliere quali lavoratori collocare in mobilità e licenziamento deve ponderare la scelta in base a criteri sanciti dai contratti collettivi e dagli accordi con i sindacati. Qualora non ci siano indicazioni in tal senso, la scelta deve essere basata considerando i carichi di famiglia del dipendente, l’anzianità e infine le esigenze tecniche, amministrative, produttive ed organizzative. Per quanto riguarda la causa del licenziamento, quella in deroga e ordinaria viene concessa ai lavoratori in caso di:

  • Esaurimento della cassa integrazione ordinaria;
  • Riduzione del personale;
  • Ristrutturazione e riconversione aziendale;
  • Cessazione dell’azienda.

L'indennità per i lavoratori in mobilità e licenziamento

La durata di questa indennità è:

  • 12 mesi in generale,
  • 24 mesi per i lavoratori di almeno 40 anni,
  • 36 mesi per i lavoratori di almeno 50 anni.

Per ottenere l'indennità, è necessario presentare una specifica richiesta all'INPS entro 60 giorni dal licenziamento:

  • attraverso i servizi online dell'INPS,
  • tramite i call center dell'INPS,
  • mediante un patronato.

La protezione concessa al dipendente (nel caso di licenziamento ingiusto) varia in base alle dimensioni dell'azienda. Oltre al reintegro immediato, un licenziamento illegittimo richiede che il datore di lavoro risarcisca il dipendente per il danno subito, pagando la retribuzione globale dovuta. Questo pagamento include il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. Il dipendente può rinunciare al reintegro, richiedendo invece un'indennità corrispondente a 15 mensilità del suo stipendio.

Come fare la domanda

Come già precisato, il lavoratore che è stato inserito nella lista deve provvedere a inviare la domanda di indennità di mobilità e licenziamento in deroga e ordinaria all’INPS. La domanda si inoltra telematicamente, compilando la domanda online sul sito dell’INPS e accedendovi attraverso le proprie credenziali. La domanda, in alternativa, può essere presentata tramite i CAF e i patronati autorizzati. I moduli da utilizzare sono:

  • Il modello DS 21 da trasmettere all’INPS entro 60 giorni dal licenziamento;
  • Modulo DS22 che contiene la dichiarazione del datore di lavoro con i dati del dipendente, dell’azienda, del rapporto di lavoro e della retribuzione.

L’ente che eroga e paga l’indennità è l’INPS previa accettazione della domanda. Il pagamento avviene tramite bonifico bancario o postale (nella domanda il lavoratore deve indicare il proprio IBAN). Il lavoratore può richiedere il pagamento in soluzione unica dell’intera indennità spettante a fronte di valida motivazione come l’avvio di una propria impresa autonoma con effettiva apertura di partita IVA o prova di essere entrato a far parte di una cooperativa in qualità di socio.

Nel caso in cui il lavoratore che ha riscosso l’indennità per intero, ritrova occupazione come dipendente entro 24 mesi successivi al pagamento è obbligato a restituire quanto ha ricevuto, comunicando all’INPS la riassunzione entro 10 giorni dal nuovo impiego. L’INPS provvederà al recupero delle somme versate in unica soluzione. Se il lavoratore non effettua la comunicazione, è tenuto alla restituzione di quanto ha riscosso in un'unica soluzione e maggiorata degli interessi legali.

Il pagamento dell’indennità da parte dell’INPS parte dall’ottavo giorno successivo il licenziamento (se la domanda viene inoltrata nei primi 8 giorni) oppure dal 5° giorno successivo la data della domanda se la domanda viene presentata dopo l’ottavo giorno. In caso di pagamenti ritardati, l’ente previdenziale provvede al pagamento degli arretrati in un unico versamento al primo bonifico, effettuando i dovuti calcoli e per la somma dovuta.

Il calcolo dell’indennità è proporzionale all’importo dell’integrazione salariale e spetta per l’80% della retribuzione lorda spettante comprendente le voci fisse che compongono la busta paga.

Cosa succede dopo il licenziamento

mobilità o licenziamento 3

L'obbligo di riassunzione del lavoratore invece viene ordinato dal giudice nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori o meno, che occupano: · fino a 15 dipendenti · fino a 60 complessivamente se nell'unità produttiva interessata sono occupati meno di 16 dipendenti. Questa tutela si accosta anche alle organizzazioni di tendenza (non imprenditori che svolgono attività senza fini di lucro) e ai lavoratori dipendenti da enti pubblici (in cui la stabilità non è garantita da norme di legge).

Il licenziamento illegittimo pone dunque il datore di lavoro di fronte alla scelta di riassumere il lavoratore entro 3 giorni oppure, di pagargli un'indennità (che dovrà essere compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità).

Novitá del 2021

La crisi sanitaria determinata dalla pandemia da Covid19 e quella economico-sociale susseguente, nel corso del 2020 e 2021, hanno messo in crisi diversi settori produttivi e il mondo del lavoro, sia in Italia che in altri Paesi. Il Governo, per attenuare gli effetti negativi di tale situazione drammatica, con la Legge di Bilancio 2021 ha confermato alcune importanti iniziative avviate durante il 2020 e ne ha lanciate altre riguardo alla mobilitá e licenziamento dei lavoratori. Inoltre, ha predisposto delle tutele particolari per quelli cosiddetti "fragili".

Innanzitutto, è stato promosso, da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il programma "Garanzia Occupabilitá dei Lavoratori" (GOL), che intende favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di coloro che benficiano del Reddito di Cittadinanza, dei disoccupati che percepiscono la NASpI e dei lavoratori in cassa integrazione all'interno di programmi per le politiche attive del lavoro. Un programma importante relativo quindi a mobilitá e licenziamento dei lavoratori.  

licenziamento

Inoltre, è stato confermato un blocco dei licenziamenti per ragioni economiche (in vigore giá dalla primavera del 2020) fino al 31 Marzo 2021. Tuttavia, in questo blocco non rientrano quei licenziamenti determinati dalla cessazione definitiva dell'attivitá imprenditoriale e quindi d'impresa, dovuta alla messa in liquidazione della stessa. Comunque, oltre a queste misure, ne sono state previste altre per favorire e bloccare rispettivamente la mobilitá e licenziamento di lavoratori, anche quelli fragili.

Un esempio è rappresentato dalla conferma della cassa integrazione, che i datori di lavoro possono richiedere per i propri lavoratori, a seconda dei casi fino al 31 Marzo 2021 oppure fino al 30 Giugno 2021. La tutela, invece, dei lavoratori fragili o con gravi disabilitá si afferma con l'equiparazione dell'assenza dal servizio al ricovero ospedaliero per l'intero periodo di questa e l'incentivazione al cosiddetto smart working. Vari fondi finanziari, inoltre, sono stati predisposti per quelle categorie di lavoratori o settori particolarmente colpiti dalle severe misure anti-Covid19.

I casi in cui è possibile licenziare per giusta causa

Dopo aver parlato di mobilità, oggi vi presentiamo un approfondimento su come sia possibile il licenziamento per giusta causa. I titolari o i responsabili di un’Azienda hanno una serie notevole di responsabilità, sia di natura economica che sotto l’aspetto lavorativo. Inoltre, la posizione dirigenziale impone una funzione di controllo e supervisione sul lavoro dei dipendenti e sul livello di responsabilità col quale svolgono le proprie mansioni. È sempre molto acceso il dibattito sulla possibilità di licenziare i lavoratori dipendenti, e su quali possano essere le cause che giustifichino tale scelta. Negli anni si sono contrapposte in modo forte le due fazioni, quelle che ovviamente tendono a tutelare la posizione del dipendente ed il suo diritto alla conservazione del posto di lavoro, e quelle che invece spingono affinché sia chiaro, per i datori di lavoro, come fare per non rimanere imprigionati in un rapporto che nel tempo sia diventato non più proficuo una volta assunto un dipendente. 

Il licenziamento per giusta causa è una tipologia di licenziamento che ha natura disciplinare, una sanzione causata da condotte del dipendente di entità e gravità tale da incrinare irrimediabilmente il rapporto fiduciario esistente fra datore di lavoro e lavoratore dipendente e quindi non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro neanche per un giorno: esso infatti avviene in tronco e senza preavviso.

La differenza con il licenziamento per giustificato motivo è insita nel fatto che quest’ultimo avviene quando il lavoratore abbia posto in essere dei comportamenti non corretti ma di gravità inferiore a quelli per i quali è previsto il licenziamento per giusta causa. In base a questa differenza, il licenziamento per giustificato motivo richiede in ogni caso l’obbligo di rispettare i tempi di preavviso previsti dal contratto.

I comportamenti che il lavoratore deve tenere per essere passibile di licenziamento per giusta causa possono essere sia di natura dolosa che di natura colposa, ossia compiuti senza intenzione ma in ogni caso con negligenza, imprudenza o imperizia. 

Per effettuare un licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro deve valutare che il comportamento del lavoratore leda in modo irreversibile il rapporto di fiducia fra lui ed il lavoratore dipendente. Il venir meno della possibilità di proseguire il rapporto di lavoro deve essere valutato in base a diversi aspetti quali la natura e la qualità del rapporto, la posizione lavorativa e la mansione del dipendente e, di conseguenza, il suo livello di responsabilità, i motivi che hanno spinto il lavoratore alla condotta scorretta, la volontà o meno del suo comportamento e i danni all’Azienda e al datore di lavoro che quest’ultimo ha prodotto. 

Da quanto abbiamo appena esposto, appare evidente come lo stesso comportamento in taluni casi possa giustificare il licenziamento per giusta causa, in altri invece la minore gravità dei fatti o le circostanze che hanno portato al comportamento del dipendente lo rendono passibile solo di licenziamento per giustificato motivo.

Esempi pratici di motivazioni per il licenziamento in tronco

Si tratta di un provvedimento disciplinare che si applica per motivazioni così gravi da consentire al datore di lavoro il cosiddetto licenziamento in tronco e senza preavviso.

I criteri in base al quale un datore di lavoro può ritenere legittimo tale provvedimento sono stati illustrati nei paragrafi precedenti e con le dovute distinzioni rispetto al licenziamento per giustificato motivo. Quali sono, in concreto, gli strumenti di valutazione per il licenziamento per giusta causa e quali sono i casi pratici in cui si applicano?

Criteri di valutazione

Il licenziamento per giusta causa

Il datore di lavoro prima di ricorrere al licenziamento per giusta causa deve valutare i seguenti elementi:

  • La natura e la qualità del singolo rapporto di lavoro e della mansione;
  • Il grado di responsabilità e la posizione professionale del lavoratore che commette un “illecito” o un atto diseducativo o una violazione;
  • L’importanza e la delicatezza delle mansioni del dipendente passabile di licenziamento (per esempio, nell’ambito dell’organizzazione aziendale è più grave l’abbandono del posto di lavoro da parte di una guardia giurata rispetto a quella di un magazziniere). Criterio di proporzionalità;
  • Le motivazioni che inducono un lavoratore ad assumere una condotta scorretta;
  • Il grado di intenzione e la volontarietà del lavoratore nel compiere una scorrettezza o insubordinazione;
  • I danni arrecati dal dipendente a seguito del suo comportamento;
  • La personalità e i precedenti del lavoratore.

Come stabilisce la Corte di Cassazione stessa, la definizione di “giusta causa” deve avere un carattere di gravità essenziale e deve compromettere seriamente il rapporto fiduciario tra datore e lavoratore. La gravità dell’atto deve essere rapportata alla portata oggettiva e soggettiva dei fatti imputati al lavoratore rispetto alle circostanze che lo hanno provocato e in relazione all’intensità e alla proporzionalità tra fatti e sanzione. In caso di contestazione del licenziamento, l’onere della prova spetta al datore di lavoro il quale dovrà dimostrare l’esistenza della giusta causa.

Casi pratici di giusta causa

Le condotte specifiche che giustificano un licenziamento in tronco e senza preavviso sono, a volte, elencati nei contratti collettivi, ma si tratta di tipizzazioni con valore esemplificativo e non vincolanti per il giudice. in ogni caso, esempi di motivazioni lecite per giustificare il licenziamento per giusta causa sono:

  • abbandono del posto di lavoro (se il comportamento manchevole mette a rischio l’incolumità delle persone degli impianti;
  • assenze ingiustificate (nel caso in cui ciò rechi danno all’organizzazione aziendale);
  • produzione di un falso certificato medico;
  • rifiuto di riprendere il lavoro dopo un periodo di malattia;
  • attività in concorrenza con l’azienda (quando un dipendente svolge un secondo lavoro in evidente concorrenza con gli interessi dell’azienda del primo lavoro);
  • dipendente che – pur dichiarandosi in malattia – approfitta per svolgere un lavoro presso altra azienda;
  • ripetuta assenza alla visita fiscale in caso di permesso di malattia;
  • insubordinazione con reazione fisica e verbale violenta;
  • un lavoratore che si presenta sul posto di lavoro nonostante sia sottoposto a provvedimento disciplinare come la sospensione dal servizio e dalla percezione dello stipendio o salario;
  • diffamazione dell’azienda e dei suoi prodotti;
  • reati commessi nell’ambito della vita privata, ma che possono pregiudicare l’immagine dell’azienda o posto di lavoro o mansione che si ricopre (per esempio, un dipendente di banca condannato per usura o per appropriazione indebita) oppure per molestie sessuali nei confronti di terzi;
  • furto di beni aziendali o sul posto di lavoro il cui valore è rilevante;
  • falsificazione del tesserino di accesso al posto di lavoro o cartellino per la rilevazione delle presenze e degli orari;
  • rifiuto ingiustificato di prendere servizio in altro reparto o sede, in caso di trasferimento qualora quest’ultimo sia legittimo.

Licenziamento collettivo

In Italia il licenziamento può essere di due tipi, individuale oppure collettivo.

La differenza sostanziale sta nel fatto che i secondi non prevedono limiti e causali.

Il licenziamento collettivo riguardava i lavoratori di un singolo reparto che venivano reintegrati ex art. 18 dalla Corte di Appello di Catania.

I motivi

La motivazione del licenziamento può dimorare nella presenza di una valida giustificazione.
In questo caso il datore di lavoro è obbligato a porgere termini di preavviso al lavoratore. La legge del 1966 prevede due ipotesi di giustificato motivo:

  • Giustificato motivo soggettivo: costituito dal notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.
  • Giustificato motivo oggettivo: riguarda i casi determinati da ragioni inerenti all'attività produttiva

Tra le motivazioni più frequenti troviamo la cessazione dell'attività, il fallimento e la riorganizzazione aziendale (oltre alla sopraggiunta inidoneità fisica del lavoratore).

Abbiamo visto che perché il licenziamento sia legittimo il datore di lavoro deve addurre giuste motivazioni.
Di solito i contratti collettivi immaginano determinati fatti che confermano il licenziamento senza preavviso. Tra i casi più frequenti si segnalano il danneggiamento di materiali, la rissa nei luoghi di lavoro, le ingiurie verso il datore di lavoro o le violenze verso gli altri lavoratori.

Cosa prevede il codice civile per quanto riguarda la lettera di licenziamento

Il datore di lavoro può quindi licenziare il lavoratore senza comunicare la decisione per iscritto con lettera di licenziamento e senza motivarla solo in queste categorie:

  • lavoratori domestici
  • coloro che hanno raggiunto l'età pensionabile
  • lavoratori assunti in prova
  • i dirigenti

Per essere considerato valido deve essere giustificato e deve essere comunicato al lavoratore in forma scritta. La motivazione può non essere data immediatamente; in questo caso il lavoratore ha il diritto di riceverla entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento (il datore sarà costretto a dare le cause entro 7 giorni dalla richiesta).
Nel caso in cui il lavoratore ritenga il licenziamento illegittimo può impugnarlo entro 60 giorni dalla sua comunicazione. Anche l’impugnazione deve essere fatta in forma scritta. Prima di rivolgersi al giudice, il lavoratore dovrebbe saggiare la strada della conciliazione extragiudiziale.

Se la conciliazione non arriva può proseguire in giudizio di fronte al magistrato. Le parti possono anche scegliere di affidare la decisione sulla legittimità ad un collegio arbitrale, previsto dal CCNL

Perchè una scrivere questa comunicazione?

Il Licenziamento non disciplinare deve essere imposto obbligatoriamente per iscritto (tramite lettera di licenziamento apposita).

Il licenziamento produce dunque i suoi effetti solamente quando la lettera di licenziamento arriva a conoscenza del lavoratore. L’art. 2 della legge n. 604/1966 impone che la lettera di licenziamento sia espressamente diretto all’interessato e a lui consegnato (è inidonea a realizzare la comunicazione scritta voluta dalla legge la conoscenza che il lavoratore abbia avuto altrimenti del licenziamento).

Il formato della missiva

immagine per lettera di licenziamento

La lettera di licenziamento potrebbe non contenere alcun riferimento ai motivi del provvedimento datoriale. In questo caso il lavoratore può richiedere i motivi della lettera di licenziamento (richiesta cui il datore di lavoro deve rispondere entro i successivi sette giorni).

In caso di licenziamento disciplinare, la procedura da seguire è quella prevista dallo Statuto dei lavoratori per il corretto esercizio del potere disciplinare. Al datore di lavoro sono riservati vari obblighi:

  • la predisposizione di un codice disciplinare che individui le infrazioni e le relative sanzioni.
  • la pubblicazione del codice disciplinare
  • la contestazione per iscritto dell'addebito. La contestazione deve poi rispettare il principio di Immediatezza, specificità e Immutabilità.

Preavviso per dimissioni anticipate

Un tema molto interessante collegato all'argomento del Diritto del Lavoro è quello delle dimissioni dal rapporto di lavoro.

Il rapporto di lavoro infatti si può interrompere anche per volontà del lavoratore. Questi deve rassegnare le dimissioni, con il dovuto preavviso. Per assicurare che le dimissioni non siano state causate dalle pressioni del datore di lavoro sono state pensate alcune regole.

Se le dimissioni sono presentate nel periodo che va tra la richiesta di pubblicazione del matrimonio ed un anno dopo il festeggiamento dello stesso, devono essere rafforzate entro un mese all’Ufficio provinciale del lavoro. Se invece le dimissioni sono presentate da una lavoratrice madre o dal lavoratore padre durante il periodo in cui sussiste il divieto di licenziamento bisogna accertare la convalida del servizio ispettivo territoriale del ministero del lavoro.

Il periodo di preavviso è costituito in base ad un numero di giorni in cui il dipendente continua a lavorare; la sua durata è diversa a seconda della tipologia del contratto. Se il lavoratore si licenzia senza dare il preavviso, ha l’obbligo di versare al datore di lavoro un’indennità. Le dimissioni sono immediate durante il periodo di prova e nei casi in cui si verifica una causa che non consenta la prosecuzione del rapporto. Al lavoratore è concessa l’indennità di mancato preavviso.

Nel Rapporto a tempo determinato non è previsto l'istituto del preavviso ed il recesso obbliga la parte che recede a risarcire il danno all’altra. Le dimissioni anticipate del lavoratore implicano il risarcimento del danno al datore di lavoro. Per quel che concerne il Lavoro temporaneo possiamo dire che può assumere la forma determinata o indeterminata.

Perché il preavviso prima della lettera di licenziamento?

Il preavviso del lavoratore al datore di lavoro, come già detto, deve essere dato con diversi giorni di anticipo per dare la possibilità al datore di lavoro di sostituire il dipendente con un lavoratore che possa svolgere lo stesso compito del dimissionario.

A seconda della categoria di lavoro, dell’inquadramento e dell’anzianità del lavoratore si deve osservare quanto scritto nel contratto collettivo nazionale del lavoro nel quale rientra il lavoratore.

Le dimissioni da parte del lavoratore possono anche essere per giusta causa: quando si vengono a creare particolari situazioni all’interno del luogo di lavoro, o con il datore di lavoro stesso, in questo caso il lavoratore può decidere di rassegnare le dimissioni con effetto immediato, senza dare la possibilità al datore di lavoro di trovare una sostituzione del lavoratore e senza dover pagare nessuna penale.

Ovviamente in questo caso devono essere presenti delle violazioni gravissime da parte del datore di lavoro che rovinano il proprio rapporto di lavoro con il dipendente.

Lettera di licenziamento in bianco

Negli ultimi anni purtroppo si è diffuso sempre di più il fenomeno delle dimissioni in bianco: il datore di lavoro al momento dell’assunzione fa firmare al lavoratore le dimissioni lasciando in bianco la data, in modo da poter usare quella dichiarazione come strumento di ricatto per il lavoratore.

Ovviamente tutto ciò è contrario alla legge e alle norme che regolano il licenziamento individuale del lavoratore, proprio per questo con la Riforma Fornero sono state previste delle sanzioni amministrative per chi adotta questo metodo illegale: dai 5’000 ai 10’000 Euro.

Se il lavoratore non dovesse convalidare le proprie dimissioni, l’imprenditore ha 30 giorni di tempo per mandare una lettera di licenziamento al dipendente e chiedere di confermare le proprie dimissioni in uno dei centri competenti.

Autore: Avvocato Giacomo Locopo

Immagine di Giacomo Locopo

Nato a Catania il 25 febbraio 1970, l'avvocato ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'illustre Università degli Studi La Sapienza di Roma. Attualmente, è iscritto all'Albo dell'Ordine degli Avvocati nella città di Palmi, dove esercita la professione legale con competenza e dedizione.